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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), II, 7
 
originale
 
[7] Haec mecum ipse disputans fores Milonis accedo et, quod aiunt, pedibus in sententiam meam vado. Nec tamen domi Milonem vel uxorem eius offendo, sed tantum caram meam Photidem: suis parabat isicium fartim concisum et pulpam frustatim consectam ambacupascuae iurulenta et quod naribus iam inde ariolabar, tuccetum perquam sapidissimum. Ipsa linea tunica mundule amicta et russea fasceola praenitente altiuscule sub ipsas papillas succinctula illud cibarium vasculum floridis palmulis rotabat in circulum, et in orbis flexibus crebra succutiens et simul membra sua leniter inlubricans, lumbis sensim vibrantibus, spinam mobilem quatiens placide decenter undabat. Isto aspectu defixus obstupui et mirabundus steti, steterunt et membra quae iacebant ante. Et tandem ad illam: "Quam pulchre quamque festive," inquam "Photis mea, ollulam istam cum natibus intorques! Quam mellitum pulmentum apparas! Felix et certius beatus cui permiseris illuc digitum intingere." Tunc illa lepida alioquin et dicacula puella: "Discede," inquit "miselle, quam procul a meo foculo, discede. Nam si te vel modice meus igniculus afflaverit, ureris intime nec ullus extinguet ardorem tuum nisi ego, quae dulce condiens et ollam et lectulum suave quatere novi."
 
traduzione
 
Cos? ragionando arrivai alla porta di Milone e vidi che tutto funzionava, come suol dirsi, a pennello. A casa, infatti, non c'era n? Milone n? sua moglie ma solo la mia cara Fotide che stava preparando per i suoi padroni un ripieno di trippa e polpa di carne tritata, una cosetta veramente squisita a giudicar dall'odore. Indossava una linda tunichetta di lino con una cinturina rosso vivo che le stringeva la vita, proprio sotto i seni. Con le sue manine tondette rimestava il cibo nel tegame, che scuoteva continuamente, di modo che quel movimento le si comunicava a tutto il corpo e cos? dondolava mollemente la schiena e ancheggiava ch'era uno spettacolo. A quella vista rimasi l? fermo incantato, in estasi, e mi si rizz? anche un certo arnese che prima era penzoloni. ?Che bellezza!? riuscii alla fine a esclamare, ?Fotide mia, come sai muovere bene quei tuoi fianchi e quel tegamino. Chiss? che intingoletto squisito stai preparando. Beato, eh, s?, proprio beato chi, col tuo permesso, potr? metterci il dito.? Ma lei, civetta e spiritosa com'era: ?Sta' lontano, sbarbatello, sta' lontano dal mio fornello, quanto pi? puoi, ch? se appena ti tocca questo mio focherello, ti sentirai bruciare fin le midolla e nessuno potr? estinguerti l'incendio se non io che, con lo stesso piacere, ci so fare assai bene sia coi sughetti e le pentole sia a letto.?
 

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